pantoprazolo 40. - Patatracchini
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pantoprazolo 40.

Finché si resta tra queste mura, tutto ciò che dovrà capitare

capiterà a sinistra o a destra della stufa.

(Jean-Paul Sartre, La Nausea)

 

“Senz’altro le passa”, m’ha detto il medico, “senz’altro. Guardi, mi prenda i quaranta milligrammi, quaranta, di Pantoprazolo, tutte le mattine, tutte, trenta minuti, trenta, prima di fare la colazione, e vedrà che questo dolorino lo togliamo senz’altro. Anche la nausea: piano piano passerà”.

Quaranta milligrammi. Un anno è passato, ma il male no. Senz’altro il male non è passato. Quest’assillante dolore al fianco destro, che mi prende alla mattina e quando inizio a lavorare diventa inverosimile, che certe sere se ne arriva su fino alla spalla e non passa, non passa. Un male esasperato da questa nausea sorda e incessante. Io speravo che il medico avrebbe risolto, ma nulla. Almeno, però, adesso ho questa mezza ora, da che mi sveglio e prendo i quaranta milligrammi a che posso farmi la colazione, che è una mezza ora effettivamente importante in quanto potrei fare veramente un sacco di cose.

Pensavo: in questa mezza ora potrei leggermi il giornale, oppure fare la ginnastica, o anche potrei finire quel libro che mo’ vatti a ricordare il titolo, però, era bello. In alternativa, ora che mi ci metto a pensare un poco seriamente, potrei pure preparare i documenti per la dichiarazione dei redditi oppure mettermi lì a sistemare la manopola di quel comò, che ogni volta che faccio per aprire il cassetto, la manopola mi resta in mano – il cassetto resta dov’è – e io non so come spiegarlo che il peso di quell’oggettino rotondo, ricavato da scarti di legno scadente, mi grava tra le dita come la somma aritmetica di tutti gli errori che ho fatto nella mia vita, di tutti i tormenti, di tutto il disagio, di tutto l’affanno, di tutto l’Universo noto e pure di quello sconosciuto. Forse è meglio che mi legga il giornale. Non oso prendere una decisione, comunque, anche perché la mezza ora è passata.

Hanno acceso le luci. È il preludio: i turni stanno per iniziare. La divisa – sempre la stessa, quella blu – mi ricadrà sulle spalle indolenzite, e già il male inizierà a farsi sentire più deciso, e non avrò più il tempo per pensare ai fatti miei, il mio tempo per decidere che cosa fare del mio tempo. La macchina sarà avviata, preannunciata da quel secco rumore metallico e poi dopo da quel frastuono assordante, simile in tutto a una valanga che sembra arrivarci tutte le volte addosso, all’improvviso. I turni sono strazianti, spesso si va avanti tutto il giorno solo con qualche momento di tregua. In quei giorni pieni, a furia di spostarmi, di girare, d’andare a destra e a sinistra, mi prende un mal di testa, una cosa inspiegabile, e la nausea diventa insopportabile. Allora, io chiudo gli occhi, li stringo forte e mi auguro che i capi, da lassù, mi considerino poco, per oggi, mi usino solo se davvero divento necessario. Ogni tanto capita la fortuna che le mie speranze vengano raccolte; seguendo un criterio che non m’è ancora riuscito di capire, mi lasciano da parte e me ne resto anche tutto il turno solo a far finta di servire a qualcosa. Ma non a questo giro. Rumore metallico. Valanga. Turno.

Come vorrei fumarmi una sigaretta e pensare ancora un poco ai fatti miei, ché non avevo ancora finito di pensarli tutti. Non avevo ancora deciso cosa fare. Che male. Rumore metallico. Valanga. Turno.

Quaranta milligrammi. Sempre uguale. Ogni giorno sempre uguale. Provo a fare le cose in modo diverso, davvero. Certe volte mi sembra addirittura di muovermi un poco, di arrivare alla fine di un pensiero e poter finalmente capire qualcosa, ma resto sempre dove sono. Non ce la faccio più, ma sono bloccato. Tenuto al mio posto da cosa? Addosso, tra la pelle e la divisa, un ruolo che non ho mai capito, né scelto: è il mio? Nessuno che si sia preso la briga di spiegarmelo. Nessuno che m’abbia chiesto, ma a te sta bene di stare per sempre qua con questo dolore eterno al fianco e questa nausea perenne sdraiata dentro? Io se me lo chiedevano, dicevo di no. Dicevo: io mi oppongo. Io. Rumore metallico. Valanga. Turno.

Quaranta milligrammi. I giorni se ne vanno, uno dopo l’altro. L’unico elemento che alla natura sia riuscito di ripetere esattamente uguale a sé. I miei giorni hanno tutti lo stesso DNA, e io invece vorrei solo andare. Da dove si inizia a cambiare? A me sembra che non mi si muovano nemmeno le gambe. Ho provato pure a parlarne con qualcuno, ma son tutti così distanti. Li guardo per tutto il tempo; li fisso. A volte mi sembrano più vicini, più disposti; si sporgono verso, ma poi se ne tornano sempre al posto loro, le facce immobili in quella inspiegabile espressione di angoscia, gli occhi vuoti come caverne dove rimbomba impietoso il rumore della macchina. Anche loro, io penso, avranno i loro dolori ai loro fianchi, le loro nausee ai loro stomaci, i loro quaranta milligrammi nelle loro mezze ore prima di poter fare la colazione. Anche loro? Rumore metallico. Valanga. Turno.

Quaranta milligrammi. Oggi davvero non la finiva più di finire. Sono a pezzi. Me ne voglio andare. Non mi ferma niente, in fondo. Se smetto di lavorare, forse pure ‘sto male al fianco smetterà di lavorare assieme a me e potrò finalmente farmi quel viaggio, prendermi il mio tempo. Avessi almeno un’ora buona per preparare i documenti della dichiarazione dei redditi, per leggere quel libro, per telefonare a mio padre, per aggiustare questa manopola e rimettere a posto l’Universo. Non oso prendere una decisione, comunque. Se fossi sicuro d’aver talento, ma. Rumore metallico.

“Si sono incastrate.”
“Un’altra volta? L’hai messo bene il gettone, sì?”
“Ma sì, si sono incastrate, ti dico.”
“Aspetta, alziamolo.”

Il turno non è iniziato. Rumore metallico. Niente valanga. Niente turno. Quasi mi sembra che pure ‘sto fianco mi faccia meno male. La macchina ha smesso di funzionare. Forse ora ce ne possiamo andare? Non mi sentivo così da anni. Così leggero, così libero, mi sembra quasi di riuscire a ballare. Ballo. Balliamo tutti e adesso, sì, che ci sarà tempo, ci sarà tutto il tempo, lo sento.

“Tiralo su!”
“Minchia, come pesa ‘sto biliardino.”
“Lascia, fatto.”

Valanga. Turno.