13 Nov angolo via lippi.
Chi non conosce l’amore felice
dica pure che in nessun luogo esiste l’amore felice.
Con tale fede gli sarà più lieve vivere e morire.
(Wislawa Szymborska)
È domenica. Si capisce perché sono le undici e quaranta e ce ne stiamo a fare colazione, in quattro, lentamente, sperando che ci capiti qualcosa, sperando. Uno legge il giornale, legge, scavandosi con l’anulare una ferita sul lato destro del pollice: lo fa scrupolosamente; scava la ferita e cerca tra i titoli e i paragrafi pezzi di notizie drammatiche, ché le cose belle non gli han mai dato soddisfazione. Un’altra guarda il cellulare – tesoro, non chiamerà –, mentre gli altri due – avranno vent’anni – scambiano parole lagnose sull’ultimo esame universitario. La noia ci invade ripiena di crema o cioccolata, ci apre a ritmo di cucchiaini che rimbalzano sui bordi delle tazze. Lei poggia il cellulare e raccoglie con le dita un po’ di zucchero a velo, raccoglie. Tutti e quattro – non lo possiamo sapere – stiamo pensando a quanto ci sentiamo soli. Se potessimo parlarci, ce lo diremmo, ma non ci parliamo. Cerchiamo tragedie, cerchiamo, aspettiamo telefonate, ordiniamo un altro caffè, stavolta me lo faccia macchiato, parlando in trentesimi. Dobbiamo tirare almeno fino a pranzo, dobbiamo.
Il campanello appeso sulla porta d’ingresso si smuove, ci ridesta, a tempo ci voltiamo tutti e quattro, ci voltiamo. Entra prima lei. Una donna anziana, minuta e snella. Le gambe fasciate in fuseaux marroni, i piedi riposti in scarpine ortopediche di cuoio scuro. La pelliccia linda e lucente, vaporosa le disegna un profilo di bambina vestita a festa. Il naso sottile, gli occhi blu, i capelli bianchissimi ordinati, una nuvoletta azzurrina poggiata su orecchie elegantissime; sulle stesse orecchie poggiati anche un paio d’occhiali cerchiati d’oro. Dietro di lei, lui. Tutto fasciato di scuro, sulle spalle abbandonato un giaccone verde con le tasche. Nella tasca destra riposte le chiavi di casa e il fazzoletto di cotone bordato di turchese. Nella tasca sinistra le caramelle di anice – non può più fumare dal 1998 – il portaspiccioli e un cordino, che ha trovato in cantina e era un peccato buttarlo, può venire sempre utile. Si muovono pianissimo, a scatti, guadagnano a fatica il bancone, guadagnano. Si reggono l’uno sull’altra: non c’è altra spiegazione che può risolvere il loro gracile equilibrio. La ragazza dietro al banco li saluta e li serve. Vogliono delle paste. Lui dice che prendiamo il grande, prendiamo. Lei dice che no, prendiamo il piccolo, prendiamo. Prendono il vassoietto piccolo, e iniziano la combattuta selezione dei dessert. Ridacchiano rumorosamente, ridacchiano. Si fanno i dispetti. Lui le pizzica lentamente la spalla. Lei fa i capricci perché vuole i bignè con la crema, guardi signorina non gli dia retta, alla cioccolata, dice, alla cioccolata, ma ci pensa? Lo prendiamo alla crema il bignè, signorina. E lo prendono alla crema, lo prendono. E lui sorride ogni volta che, opponendosi per scherzo, gliela dà vinta. La ragazza incarta le paste (sono otto, alla fine). Lui le chiede se per favore mi può mettere un nastro rosso? La ragazza domanda allora, sono per un’occasione speciale? Lui le risponde che ovviamente, signorina, che è speciale, vado a pranzo con mia moglie. Tira fuori il portaspiccioli dalla tasca sinitra, conta lentamente le monete, si perde, le poggia tutte sul bancone, le poggia. La moglie lo guarda e lentamente fa scivolare con le dita gli spiccioli che servono a pagare il conto, dicendo cosa faresti senza di me? Cosa faresti senza di me? Tirano su il pacchetto con il nastro rosso e ciondolando piano piano recuperano la strada. “Un amore felice. È normale? È serio? È utile? Che se ne fa il mondo di due esseri che non vedono il mondo?”.
La campanella si muove, la vita riprende. La ragazza del bancone sbuffa e torna a farcire i panini. Lui riprende a cercare tra le pagine la morte, che anche per oggi non è toccata a lui. Lei raccoglie il cellulare – non ha chiamato, ti s’era detto –, i ragazzi si alzano svelti per tornare a studiare. È domenica. E anche per oggi, abbiamo tirato fino a pranzo, abbiamo. Meno male.
(Illustrazione di Janine Rewell)