23 Apr 300 grammi.
Una signora sui sessanta esce da una cartoleria con un rotolo giallo sotto il braccio. È un tipo di signora sui sessanta che io non diventerò – anche se lo vorrei veramente – perché lei ha questo naso piccolissimo e ha questi capelli, un po’ grigi, che cadono diritti e si fermano giusto un poco prima delle spalle. Vorrei dire altro di lei ma, uscendo dalla cartoleria, ha portato con sé un pezzo di quell’odore incredibile, quella cosa rassicurante di legno e fibra e acqua, quella morsa che ti avvolge l’anima in rapidi giri di nastro adesivo. Sono già altrove, indietro gli anni, fino alla porta di ferro e vetro della cartoleria di mia madre, fino agli a4, alle HB, alla carta velina, al calore di fotocopia appena fatta, a momenti che non torneranno. Mi abbandono a questa battaglia persa col passato. E invece io c’avrei voglia di parlare con la signora e andarmene al futuro. Di chiederle come si fa a farsi venire un naso così piccolo, un caschetto così a posto, a chiederle “cosa ci fai? Cosa ci fai con questo cartoncino giallo da 300 grammi che ti sei comperata?”. Eppure niente: non dico niente. La supero e continuo a camminare in Via Pacini, tra gli espositori di biglietti d’auguri di un negozio di trent’anni fa. Mentre allungo una mano, che qui serve a farsi obliterare il biglietto e a non srotolare nessun nastrino colorato, un’altra mano mi si poggia tenera sulla spalla sinistra.
Mi dice: “Che bel vestito che ha, signorina. Mi scusi, eh, se l’ho disturbata, ma mi ricordava tanto me da giovane”.
Ci sono volte dove la speranza assume forme inaspettate: la mia, però – è ora che mi rassegni – odorerà sempre di carta.
(Illustrazione di Alessandra Di Paola)